sabato 18 agosto 2012

L'anello di congiunzione tra Orazio e l'Esselunga

Non si è mai chiarito perchè ci dovessi sempre andare io a comprare il vino all'Esselunga. Non mi sembra giusto, a ben pensarci.
Quei giovedì autunnali, verso le sette, nonostante mi mancassero ancora 20 pagine da leggere di latino, chiudevo il libro, piazzavo una scusa qualunque a mamma e uscivo a scongelare la bicicletta. Tanto la mattina avrei avuto venti minuti buoni di metropolitana per studiare, pensavo io. Tanto non mi avrebbe mai interrogata, dicevi tu.
Cinque minuti per andare, venti secondi per identificare la bottiglia tra gli scaffali etilici, due minuti per salutare la prof delle medie che passa la vita lì: tutto regolare. Dopo un paio d'ore in fila alla cassa e le duecento conferme al telefono che "sì, ceno a casa", ero fuori, con la bottiglia che metteva a dura prova la resistenza della mia borsa e della mia spalla.
Quei giovedì sera mi passavi a prendere all'incrocio e andavamo a sentire qualche cantautore triste; io portavo il vino e tu le birre, questi erano i patti. Si beveva tutto prima di entrare, in macchina, più perchè ci piaceva l'idea che per l'effettiva mancanza di moneta per una birra alla spina. Si fanno delle cose stupide ogni tanto, giusto perchè a volte sembra che l'unico modo di non pensare al domani sia fare delle cose stupide e senza senso. E io al domani avrei preferito non pensarci, ma sorsata dopo sorsata l'immagine di Orazio che si riscalda al fuoco guardando la vetta del monte Soratte cominciava a rimbalzarmi nella testa. Era un periodo in cui studiavo sempre latino letteratura, non scherzo. Naturalmente non sarei mai stata interrogata in latino letteratura; era raro che qualcuno mi interrogasse, in generale. Peccato, Orazio mi piaceva davvero.
La verità, penso, è che mi faceva piacere andare a prendere il vino all'Esselunga. Mi lamentavo sempre, è vero (non sia mai che faccia qualcosa senza ostentare la giusta dose di svogliatezza), ma lo facevo con quella scarsa convinzione che si riserva alle decisioni già stabilite dall'abitudine e che la stessa abitudine ha reso un dolce rituale.