lunedì 23 settembre 2013

Va tutto bene.

Come vorrei venirti incontro alla stazione. Che prima ti aspetto con trepidazione, arrivo in anticipo al binario perchè per una volta non voglio arrivare tutta trafelata e sudata e magari il treno arriva in anticipo e non vorrei che tu non mi trovassi, invece è in ritardo e io non so come passare questi dieci minuti che mi separano da te, ho il giornale in mano ma non riesco a leggere, allora riguardo gli orari, poi faccio su e giù per la banchina e finisce che anche questa volta ti abbraccerò tutta sudata. Compro un ombrello, che può sempre piovere. E infine il treno arriva, ti vedo scendere e ti corro incontro (così, per sudare ancora un po' e non deludere le tue aspettative). Ed è davvero bello come pensavo venirti a prendere in stazione, niente a che vedere con il citofono, lo squillo, il clacson sotto casa.
E quindi, dicevo, vorrei venirti incontro alla stazione alle 10 di mattina, quando i pendolari sono già al lavoro da un pezzo e il gelo quello doloroso ha lasciato il posto a un freddo pungente e quasi piacevole, dolce. Un tè caldo che hai mal di gola, ti avvolgo la mia sciarpa, un abbraccio lungo fino a che mi fanno male le braccia e ti rimprovero, con quella stupida aria da finto-offesi che hanno certi animali baciati dalla felicità e che solo dei loro simili possono guardare con benevolenza.
Ti verrei incontro alla stazione con un paio di jeans nuovi e con quel solito paio di scarpe di cuoio che ho aspettato tutta l'estate per poter rimettere.
Un giorno di festa, le mani coperte dai guanti, il respiro faticoso, la pelle avvizzita. E poi quella voce interiore che accompagna ogni gesto, che copre ogni pensiero: va tutto bene, va tutto bene. Va tutto bene.

lunedì 16 settembre 2013

I bidelli.

I bidelli oggi, con profondo rammarico della comunità, non si chiamano più bidelli ma collaboratori scolastici, eppure non sono cambiati, sempre bidelli sono, cioè, puliscono con la stessa svogliatezza, vengono dalla Calabria, leggono riviste dal dubbio valore culturale e conoscono i pettegolezzi dell'intero istituto scolastico. C'è sempre un prof di storia che allunga le mani sulle studentesse e una supplente di educazione fisica che al suo passaggio fa voltare la testa ai mariti più fedeli, per non parlare di quello che se per caso lo tocchi dopo due giorni muori d'infarto: il bidello lo sa, con tanto di particolari e testimoni.
I bidelli sono Nunzia, Alfia, Beppe, Walter, Sergio, Filomena. Tra loro c'è anche l'assistente tecnico, che, seppur può vantare un grado di responsabilità maggiore e un rapporto con i professori più diretto, rimane sempre un bidello, oltretutto con il privilegio di pause caffè interminabili. Tra l'altro, la sua assistenza tecnica è efficace quanto una martellata sul server.
Quando passo davanti a scuola ne vedo sempre un paio fuori, a prendere una boccata d'aria o a fumare una sigaretta. Le donne tinte da quando hanno vent'anni, gli uomini stempiati da quando ne hanno diciotto. Mi prende una certa allegria, anche se alcuni ai tempi non erano del mio piano e li vedevo solo saltuariamente, anche se, maledetti, neanche si ricordano il mio nome. Ma pressate ancora per le sedie sui banchi? E per le scritte con il bianchetto? La Gualtieri zoppica ancora? E l'Inter come sta andando? (mi sbilancio, ma Sergio si entusiasma e si lancia in tecnicismi calcistici che mi pento di aver stimolato).
I bidelli fanno i bidelli da tutta la vita e hanno un rapporto di odio/amore con il suddetto mestiere che Catullo: lasciastare. Più di amore, credo.

domenica 15 settembre 2013

Torchio.

Qualche mese fa mi chiamavi, mi parlavi due minuti e riattaccavi, io tornavo a guardare il mio libro di fisica 2, prima di rendermi conto di non riuscire a leggerlo; allora lo chiudevo e sdraiata sul letto, occhi spalancati, pensavo a quanto sarebbe stato catartico vederti scoppiare la testa in un torchio.
Ormai il libro di fisica 2 l'ho venduto al Libraccio per 3 euro, non desidero più un tuo decesso violento, ma solo la tua momentanea e pacifica dipartita da un parco Sempione già fin troppo gremito e rumoroso perchè il tuo ingombro di suolo pubblico possa risultare gradito. Apro il mio libro verde come dichiarazione di tregua armata, di cessato discorso, di nonhopiùparole, di sono sfibrata, di faccio come se tu non esistessi. Eppure esisti, e perdipiù non la pianti di toccacciarmi i capelli e di cominciare nuove aride conversazioni, che finiscono inevitabilmente per scontrarsi contro il muro della mia insofferenza. Che libro vuoi che sia? E' un libro verde. Bello, molto bello. E mia zia sta bene e anche lo zio e cucinano ancora delle strepitose parmigiane di melanzane. Cos'ho? Niente. Non sto pensando proprio a niente. Cerco di leggere e sì, forse è meglio che te ne vai se devi continuare a parlare.
Te ne vai. E allora rimango lì, sdraiata sull'erba, occhi spalancati, rendendomi conto di non riuscire a leggere il mio bel libro verde. So che in quel momento stai pensando a come sarebbe estatico guardare la mia testa esplodere in un arcobaleno rosso, frantumata da un torchio.
A differenza della mia però, so che la tua potrebbe non essere solo una fantasia.