lunedì 30 gennaio 2012

Ma domani chissà.

La pasta era sempre scotta, anche se gli altri tendevano a definirla al dente.
Eravamo in un paesino relegato ai margini della vita civile, su una collina dimenticata dal padre eterno e dai suoi ministri, e per raggiungere il supermercato più vicino facevamo l'autostop sull'Aurelia. Tutti gli automobilisti che ci caricavano ci raccomandavano di non farlo spesso, che oggi vi è andata bene ma domani chissà. Riempivamo il carrello di scatolette di tonno sottocosto, uova sottocosto, pizze surgelate sottocosto, Gocciole Pavese (solo se scontate), polpa di pomodoro sottocosto, mozzarelle sottocosto, Philadelphia (anche non scontato), birra quella che c'era in offerta, gorgonzola sottocosto, grissini sottocosto e il lambrusco da un euro. Alla fine non ci stavamo mai con i soldi e dovevamo lasciare qualcuno dei rinomati prodotti, scelti con una cura maniacale e oggetto di lunghe discussioni, sullo scaffale sbagliato. Poi, con i nostri sacchetti, che pesavano sempre meno di quanto avremmo voluto, entravamo nel noleggio film di fronte al supermercato e affittavamo due film da vedere tra pomeriggio e sera. Affondati nel divano, con i piedi appoggiati sulle sedie di legno, Gocciole e birra l'unica dieta possibile, l'aria viziata e umida, parole sussurrate.
Di quest'estate ricordo la totale assenza di pensieri. La mente vuota, volta solo a garantire una sopravvivenza dignitosa: mangiare, dormire, parlare, lavarsi. Ridere, piangere.
Ricordo che i film erano tutti squallidamente banali, colpa dei consigli dell'inesperto noleggiatore, di cui ogni volta, immancabilmente, finivamo per fidarci.
Ridere, piangere.
Vorrei ricordarmi anche di cosa ho sognato quella volta in cui mi sono addormentata vestita sul tappeto e poi mi sono svegliata infreddolita. Ma domani chissà.

domenica 29 gennaio 2012

L'unico modo per sopportare una debolezza è non confessarla a nessuno.

Prendiamo ad esempio mia mamma.
Ecco, la mamma dovrebbe essere una persona che ti ama in modo disinteressato, che farebbe di tutto pur di non ferirti e tutte le altre cose che si dicono.
Ecco, a mia mamma ho detto che in alcuni momenti di lucidità mi disprezzo per l'ostinata indifferenza che metto in ogni attività che faccio, per il mio incomprensibile senso di superiorità nei confronti di ogni altro essere umano, per l'abitudine a non prendere mai niente sul serio. Perchè poi, tutti lo sappiamo, niente ha davvero senso.
Insomma, le ho detto, sono un cinica del cazzo.
Mamma ha incamerato con espressione compunta questa confessione.
Tempo un paio d'ore, puntuale come l'autobus della direzione opposta a quella che devi prendere, mamma ha giocato la sua carta vincente per porre fine ad una discussione altrimenti da me dominata: "Ma cosa ne parlo con te, lo dici tu stessa che sei una cinica [del cazzo]!"

Devo ricordarmene. Di non confessare debolezze se non voglio che queste mi vengano rinfacciate.

giovedì 26 gennaio 2012

Le coincidenze mi evitano come la peste.

Vorrei che le coincidenze non fossero un'entità intellettuale, un prodotto editoriale o cinematografico, ma che esistessero davvero. Invece le occasioni giuste passano sempre mentre sono stravaccata sul letto, intenta a mordicchiarmi le unghie o a mangiare caramelle gommose rubate a mia sorella.
Poi, il fatto che queste attività (che comprendono gran parte della mia giornata tipo) non favoriscano in modo particolare l'avvenire delle suddette fortunate coincidenze è tutta un'altra storia.

mercoledì 25 gennaio 2012

La Normalità.

Io le persone strane non le sopporto.
Non sopporto i lunatici, gli scortesi, quelli che un giorno ti baciano con tanto di lingua e la volta dopo fingono di non riconoscerti, i taciturni. Ma anche i logorroici, o quelli dalla risata (o dalla battuta) inopportuna, per non parlare di quelli che in ogni conversazione devono per forza inserire un accenno alla ricchezza dei parenti.
Gli antisociali e i sociali.
Mi innervosisce ogni comportamento eccessivo.
Bisognerebbe stabilire delle ferree regole di convivenza civile e sociale. Delle regole di Normalità.
Che ormai, questa Normalità, è quasi diventata una parolaccia, ma a me piace tanto.

martedì 17 gennaio 2012

Falso movimento.

Persone che camminano, guardano l'orologio, camminano ancora.
Salgono in macchina, fanno le vasche sulla banchina della stazione, corrono al parco, si spintonano per riuscire ad entrare in metropolitana.
C'è chi prende l'aereo ogni mattina per lavorare dall'altra parte del mondo e chi lo fa per andare in vacanza: qualcuno torna abbronzato e più stressato di prima e qualcun altro torna a casa a nuoto, dopo che la nave da crociera su cui si trovava si è incagliata sugli scogli.
Marco ha 7 anni, fa la seconda elementare, e ogni giorno sente dire alla mamma che, tra ufficio e pulizie casalinghe, non ha tempo per dedicarsi a ciò che le piace. Così ha iniziato a dire anche lui che, tra tennis e compiti di matematica, non ha più tempo per dedicarsi a ciò che gli piace.

Tapparelle chiuse.
Tavolo bianco della cucina, spremuta d'arancia, carta e penna.
Tutto il resto è falso movimento.