lunedì 5 novembre 2012

Bandiera bianca.

Al termine della notte, poi, mi ritrovavo sempre su qualche autobus notturno diretto a Molino Dorino, carico di alcol, giovinezze sprecate, volumi delle cuffie improponibili che suonavano canzoni altrettanto improponibili. Sola. Come i miei amici, già sotto le coperte da un pezzo; loro, quelli di porta romana. Una compagnia di persone sole che si lamentavano con gli amici della propria solitudine in un deprimente processo di commiserazione inconcludente. Cristo se ero triste. Anzi, la tristezza era un sentimento troppo nobile ed intenso per la mia situazione; così svogliata, annoiata, stonata; a tal punto brutta, con quei capelli crespi e gonfiati dalla pioggia, che per la prima volta mi trovavo a non avere paura di essere violentata in qualche anfratto buio. Persino un maniaco mi avrebbe rifiutata. Niente peruviani che eccitassero l'elettorato leghista sbattendosi le figliolette diciassettenni degli onesti padri di famiglia padani, per quella notte.
Ero annoiata, dicevo, piena di tempo da riempire con attività a cui ero indifferente, piena di giorni che non passavano più o che si rincorrevano frenetici perchè saturi di futilità. Ecco allora la birretta al parco, le telefonate fiume, i pomeriggi sonnolenti sul libro di fisica, le passeggiate in centro, i cineforum ossessivi: tutto per il gusto di fare qualcosa, aggrappati a quel desiderio di ammazzare il tempo, già in sè un concetto disumano. Tutti impegnati a darci un tono, eravamo, tutti con le stesse insicurezze nascoste sotto uno stantio velo di fondotinta. Non m'indignavo neanche più ormai, perchè ci ero dentro fino al collo, intenta a sguazzare in quella melma di relazioni sociali ipocrite ed affettate. Stanchezza. Compassione per l'umanità tutta. Intravedevo quelle debolezze ed ero consapevole che la mattina dopo avrei agito per rimuoverle dalla mia coscienza, per continuare a trascinare la mia esistente in una parvenza di serenità. Il che può essere riassunto nelle parole: abbiamo perso.