venerdì 6 dicembre 2013

Capirmi.

Si fa un passo in avanti, dieci indietro, undici in avanti e alla fine si è sempre lì, in quel punto di equilibrio e consapevolezza individuale che non ci si scolla mai di dosso.
Al momento, credo di essere nella fase diecipassindietro. In particolare sono arrivata a quella conclusione infantile già confutata da tempo per cui il mondo - inteso come amalgama, indefinibile ma ben definito nella coscienza di ognuno, di esseri viventi beni mobili e immobili schermi neri condizioni atmosferiche - non mi capisce. E nemmeno si sforza di capirmi. La mia amica non s'impegna minimamente per capirmi e nemmeno la mia scarpa o il libro che sto leggendo. Ci vorrebbe del tempo, per capirmi, invece hanno sempre tutti da fare.
Io non parlo, ho smesso di parlare da tempo (unico rimasuglio dei brillanti risultati raggiunti qualche casella più avanti), e a nessuno importa. Nessuno se n'è accorto che ho smesso di parlare.
Ho detto a mio fratello che sono anni che non mi chiede come sto. Lui mi ha guardata, ha guardato la mamma, poi si è messo il cappotto e ha detto che andava in palestra. Se me l'avesse chiesto, come stavo, io gli avrei risposto che stavo bene senza troppa convinzione; e allora sì che mio fratello avrebbe potuto indagare, cercando di capire cosa c'era che non andava. Troppo facile se l'avessi esplicitato io. Uno ci dovrà pur mettere un po' di impegno per capirmi.
La globalità dell'esistente è in debito con me, per non aver mai cercato di capirmi. E che poi non ci sia niente da capire è un altro discorso, del tutto irrilevante. Ma lo sforzo, almeno quello, mi è dovuto.

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