mercoledì 18 aprile 2012

Padania.

Tu puoi quasi averlo, sai, ma non ricordi cos'è che vuoi.


Un cancello aperto sul Nulla e un vialetto di cemento scavato nella neve grigia.
Tutto qui: abbastanza, per una terra di nessuno, una terra che non esiste.
Il Nulla su cui è affacciato il cancello si sta mangiando tutto, come in quel libro che leggevo da piccola, dove per salvare il mondo dall'espandersi del Nulla un bambino incredibilmente coraggioso affronta 380 pagine di avventure. Ma da queste parti niente eroi o draghi che sputano fuoco o indovinelli da risolvere o bacchette magiche. Qui vengono fagocitati campi di grano e balle di fieno, treni anonimi che portano addii tristi e sussurrati correndo su cavalcavia pericolanti, bordi di autostrade, casolari in pietra abbandonati monumenti della contemporaneità, rimborsi elettorali nelle sezioni di partito. Ogni cosa si lascia morire nell'indifferenza, nell'apatia, sotto una pioggia leggera e costante. Gli anziani animatori del bar sotto casa ormai al binomio cicchetto-briscola preferiscono La Vita in Diretta seduti sul proprio divano. E anche il derby è più comodo vederlo su Sky, in uno stato di semi-assopimento.
Nell'area più produttiva d'Italia hanno smesso tutti di lavorare, tra un operaio in cassa integrazione e un imprenditore che si spara in testa. E intanto c'è chi ha ancora la forza di sputare odio da palchi verdi, di pulirsi la coscienza facendo nuove promesse, adducendo scuse, armandosi di retorica. Per quanto la fine, di questa Padania, sia vicina, è impossibile intuire un nuovo inizio, un punto fermo da cui ripartire. 
Restano le ferite sottocutanee, lo smarrimento, i solchi sull'asfalto che la nostra nebbia bassa e odorosa non può rimarginare.

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