domenica 12 febbraio 2012

Falsi ricordi.

Il mazzo di fiori che avresti comprato e i soldi che ti avrei ridato, le poesie di Montale scritte con una grafia minuscola su fogli a quadretti stropicciati, i fiori secchi dentro i libri prestati, i mercatini di Natale girati con nervosismo, i pomeriggi infiniti seduti uno di fronte all'altro sulle poltrone della Feltrinelli di piazza Piemonte, le mani fredde riscaldate da mani fredde, i pranzi di tua nonna, i dialoghi brillanti che sembrano tratti da un film di Woody Allen in cui entrambi abbiamo un senso dell'umorismo che non ci appartiene. E poi quando con due bracciate nel mare squallido del porto ti raggiungevo e tu mi schizzavi l'acqua negli occhi, quando alle 4 di notte aspettavamo la 90 per venti minuti e non avremmo desiderato altro, quando finalmente mi hai parlato di tua sorella, quella volta che abbiamo rubato le caramelle al bar del cinema, le camminate notturne sul ponte che dà sulla stazione, quando ti ho tagliato i capelli, le foto scattate dal tuo balcone, i pianti davanti a quel film francese in cui alla fine lei si uccide con uno dei suoi due amanti gettandosi in acqua con la macchina, i tuoi amici che non sopportavo, le mie amiche che non sopportavi, quando ti interrogavo prima dell'esame, quel vino dolce bevuto in un abbraccio caldo, i tuoi piedi brutti, la chitarra scordata, quando ho perso il conto delle volte in cui ci siamo visti, quei viaggi in treno a guardare i lavori in corso e le case non finite agli angoli delle strade, mentre giocavamo ad Uno, e vincevi sempre tu.

Saremmo stati tutto questo: in un altro tempo, con delle altre facce, in una città meno piatta.
Di reale, invece, c'è solo quel silenzio, che mi rimbomba ancora dentro, di quando passavamo i pomeriggi seduti uno di fianco all'altro, fissando il vuoto davanti a noi, accorgendoci di quanto fosse interessante, quel vuoto.
Non era ancora chiaro come mai avessimo così poco da dirci.

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