mercoledì 8 febbraio 2012

Niente di nuovo sotto la nebbia.

Stiravo i muscoli stesa sul letto di camera sua, le dita incrociate dietro il capo, in testa una canzone risalente ai tempi delle elementari; ne accennavo qualche nota di tanto in tanto. Chissà quale strana sinapsi me l'aveva fatta rievocare.
<<Stai zitta per favore, sto cercando di concentrarmi>>.
Gli lanciai un'occhiataccia che lui, dandomi le spalle, non riuscii a cogliere. Forse la immaginò. Ragionai se fosse il caso di replicare o di obbedire docilmente, ma mentre mi decidevo a rispondere con la solita dose di acidità mi accorsi che erano già passati troppi secondi perchè la mia replica non sembrasse petulante e fuori luogo. Lui era seduto alla scrivania e l'unico espediente che aveva trovato per tenere gli occhi fissi sul libro era quello di reggere la testa con le mani, limitando automaticamente il campo visivo dello sguardo. Si massaggiava le tempie nervosamente e non riuscii a trattenere un sorriso quando, osservando i movimenti delle sue dita, mi sembrò che essi cercassero di riprodurre il ritmo della canzone che stavo canticchiando.
<<Visto che come al solito sei disoccupata, non è che mi vai a fare un caffè?>> disse, senza neanche girarsi nè muoversi dalla sua posizione.
<<C'è quello freddo di stamattina se vuoi>>
<<Fammene un altro, non mi piace freddo>>
<<Te lo riscaldo?>>
<<Non mi piace il caffè vecchio>>
<<E a mamma non piace che buttiamo il caffè vecchio>>
<<Mamma non deve sempre sapere tutto: buttalo nel lavandino e fanne un altro>>
<<Faresti questo a mamma?>>
A questo punto fece un lungo sospiro e poi le lunghe mani affilate gli scivolarono sul volto, a grattare lentamente occhi e sopracciglia, a sfregare le guance portandone la carne in giù e in su in giù e in su. Unì infine i palmi sotto il mento, in una sorta di preghiera alla santa Pazienza.
<<Ok, grazie comunque>>
Mi girai su un fianco e mi trovai faccia a faccia con la solita parete gonfia di nomi facce suoni graffi cuoricini pupazzetti disegnini bigliettini e tanti altri etti ini ini. Mio fratello era così simile a me che a volte mi stupivo che non fosse me; mi facevano quasi incazzare i suoi colori, il suo entusiasmo, il suo sorriso. A volte invece impazziva e mi urlava addosso cose intrise di cattiveria, di malvagità, della voglia di far male fine a se stessa, cose che nessun altro avrebbe potuto dirmi, perchè da nessun altro comprese con tale chiarezza e arguzia. Dove gli altri vedevano i singoli atteggiamenti, i meschini particolari, lui coglieva l'insieme, la cornice di legno tarlato. E così mi distruggeva. Allora lo odiavo: non bisognerebbe mai abusare fino in fondo di un potere maligno tanto influente, è pericoloso.
Quando non si dilettava a rovinarmi l'esistenza, invece, mio fratello era un ottimo compagno di silenziosi pensieri.
Sul muro era comparso una nuova frase quel giorno, scritta su un piccolo foglio a quadretti: Niente di nuovo sotto la nebbia. Restai qualche secondo a fissarla, sovrappensiero. Poi mi alzai bruscamente e mi diressi verso la cucina: tornai nella sua camera dopo cinque minuti, sorseggiando da una tazzina di caffè freddo. <<Io esco, ci vediamo dopo?>>
<<Forse, tu porta le chiavi>>
Mentre chiudevo la porta d'ingresso, sentii che il caffè nella moka cominciava a brontolare.

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